Nel 1959 aspettavamo di nuovo mamma e papà Szőnyi a Roma. Davanti alla stazione Termini li facemmo salire in macchina, questa volta nostra, con un rito cerimonioso; papà riuscì a malapena a entrarci. (…) Mio padre guardava con rispetto la Fiat 600 usata, che non poteva esattamente definirsi nuova, dal momento che era la prima macchina della famiglia, dopo il carro del villaggio che non poteva essere meccanizzato ed era trainato dal brocco Manci di Zebegény. Non osammo confessare che avevamo preso l’auto in trentasei rate mensili e al momento ne avevamo pagato solo due. Iniziammo quindi le gite con entusiasmo, mio padre si portava sempre appresso la cartella e i colori. Fiumicino e il mare divennero i suoi luoghi preferiti, lavorava anche sotto la pioggia: abbassava il finestrino dell’auto, guardava fuori verso il molo dei cantieri navali e abbozzava velocemente l’acquerello poi reso ancora più originale dalla pioggia che scendeva.”/Zsuzsa Szőnyi: A Triznya kocsma (La taverna Triznya), Budapest, 2021/
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